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Femminilizzazione del volto: chirurgia, identità e limiti etici
«La chirurgia estetica del volto non è solo una questione di bellezza, ma può diventare una risposta concreta a un disagio identitario profondo.» Con queste parole, il dottor Emanuele Zavattero, chirurgo maxillo-facciale di Torino, sintetizza il senso di un ambito della chirurgia in forte evoluzione: la femminilizzazione facciale, ovvero l’insieme di procedure pensate per armonizzare i tratti somatici e avvicinarli a un’estetica tipicamente femminile.
Nel suo studio, il dottor Zavattero affronta ogni giorno interventi che rientrano nella chirurgia oro-facciale e nella traumatologia del viso, utilizzando tecnologie tridimensionali per programmare gli interventi con maggiore precisione e sicurezza. La femminilizzazione del volto, spiega, è entrata più recentemente nell’ambito maxillo-facciale proprio grazie all’evoluzione tecnologica: «Possiamo oggi intervenire direttamente sulla struttura ossea del viso, rimodellando mandibola, zigomi, bozze frontali, con risultati sempre più prevedibili.»
I tratti del viso vengono suddivisi in tre aree: terzo inferiore, medio e superiore. «Nel terzo inferiore – spiega Zavattero – l’intervento più frequente è il rimodellamento della mandibola. Nel terzo medio parliamo di rinoplastica e aumento degli zigomi, mentre nel terzo superiore si interviene sulle bozze frontali.»
Oltre la transizione: nuove domande e nuovi modelli

Se in passato questi percorsi erano associati quasi esclusivamente alla transizione di genere, oggi il panorama si è ampliato. Sempre più donne cisgender (ndr persona la cui identità di genere corrisponde al sesso assegnato alla nascita) richiedono interventi per accentuare i propri tratti femminili, ma cresce anche la domanda di chirurgia gender-neutrale, pensata per chi desidera tratti meno marcati, né maschili né femminili.
Al centro di tutto, resta però il legame profondo tra l’estetica del volto e l’identità di genere. «L’aspetto estetico è strettamente connesso all’autostima e al benessere psicologico. Spesso la discrepanza tra il genere percepito e l’aspetto esteriore può generare grande disagio. La chirurgia può aiutare ad allentare questa dissonanza», osserva il chirurgo.
Il tema tocca inevitabilmente anche la questione etica. Secondo Zavattero, il nodo cruciale è quello delle aspettative. «Il nostro compito – afferma – è quello di guidare i pazienti con onestà, promettendo solo risultati raggiungibili e proteggendoli da interventi troppo invasivi o rischiosi. Io credo in un’etica della lealtà: essere chiari, sempre.»
Una femminilizzazione a carico del paziente
Nonostante l’importanza che può rivestire per chi affronta un percorso di transizione, la femminilizzazione del volto non è coperta dal Servizio Sanitario Nazionale. «Si tratta di interventi complessi e tecnologicamente avanzati, spesso totalmente a carico del paziente. Questo crea una forte disparità sociale», aggiunge Zavattero, sottolineando come oggi la chirurgia estetica, pur avendo impatti profondi sul benessere, resti in larga parte esclusa dai percorsi pubblici di cura.
Infine, una riflessione sul futuro. Non esiste un’età standard per accedere a questi interventi: «Abbiamo pazienti di tutte le età, dai ventenni fino a chi si avvicina ai sessant’anni. Ma è probabile che nei prossimi anni vedremo sempre più giovani, grazie a una maggiore consapevolezza e accessibilità.»

Un tema complesso, che va ben oltre l’estetica e chiama in causa questioni identitarie, culturali, sociali e sanitarie. Un ambito in evoluzione, che richiede sensibilità, competenza e capacità di ascolo.
Conclude Zavattero: «Credo che, in una chirurgia considerata ‘estetica’, ma che in realtà estetica non è affatto, sia fondamentale ricordare a noi stessi, ai pazienti e ai colleghi, l’importanza di un’etica della lealtà. Dobbiamo proporre solo interventi con risultati raggiungibili, senza ingannare e senza portare i pazienti su strade troppo rischiose o invasive.»
