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Distretto testa e collo

Il distretto testa e collo interessa sia la chirurgia traumatologica che quella malformativa. Si può operare sia su pazienti con malformazioni, come la labiopalatoschisi, che su vittime di violenza

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Il distretto testa e collo interessa sia la chirurgia traumatologica che quella malformativa. Si può operare sia su pazienti con malformazioni, come la labiopalatoschisi, che su vittime di traumi dovuti a incidenti. Il dottor Emanuele Zavattero e il dottor Gian Luca Gatti spiegano come si può intervenire su questo distretto corporeo e, nel caso in cui siano identificabili, quali sono le cause delle patologie su cui si opera. Il dottor Giorgio Merlino ha invece effettuato un anno e mezzo fa su una complessa operazione su una donna vittima di violenza da parte del compagno su ferite che avevano hanno interrotto il nervo facciale.

Distretto testa-collo: traumatologia

«La chirurgia maxillo-facciale è una specialità relativamente giovane– spiega Emanuele Zavattero chirurgo maxillo-facciale presso l’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino, il presidio delle Molinette, l’Ospedale Regina Margherita e il CTO, – ma molto ricca di contenuti». Essa comprende molte specialità che si occupano del distretto testa e collo, come la chirurgia traumatologica e la chirurgia malformativa. 

La traumatologia occupa gran parte dell’attività dei chirurghi maxillo-facciali. «Alle Molinette è usata per i traumi facciali isolati – continua il chirurgo – mentre al presidio CTO, all’interno del trauma team, nel caso di politraumi».

La chirurgia maxillo-facciale di media e alta complessità è un tipo di chirurgia che, grazie alla tecnologia e al miglioramento delle tecniche operatorie, diventa sempre meno invasiva e meno dolorosa. «Le complicanze che si possono verificare sono di tipo perioperatorio come il sanguinamento, o di tipo infettivo». Un’altra conseguenza dell’intervento può essere l’edema facciale: «Lo scopo del chirurgo, nel post-operatorio, è cercare di ridurlo». Più a lungo termine, invece, è necessario occuparsi delle cicatrici: «Il volto è una zona molto estetica – precisa Zavattero – quindi il loro trattamento e il loro miglioramento è fondamentale affinché il paziente le percepisca quasi invisibili».

Testa: il volto della malformazioni

«La labiopalatoschisi è una malformazione congenita che colpisce il labbro, l’osso mascellare – descrive Gian Luca Gatti, specialista in chirurgia plastica, ricostruttiva ed estetica, dirigente medico presso l’Unità Operativa di Chirurgia Plastica dell’Azienda Ospedaliera dell’Università di Pisa dirige il reparto dedicato alle malformazioni congenite esterne che possono interessare il distretto testa e collo – in particolare parliamo dell’alveolo, il naso e il palato». Questa patologia insorge tra la quarta e la nona settimana di gestazione: «In Toscana ci sono circa 20-25 casi ogni anno – precisa Gatti – noi ne trattiamo più di 100 che, nella maggior parte, provengono da fuori Regione». 

Le forme di schisi possono essere diverse e possono verificarsi in forma completa o incompleta, unilaterale o bilaterale. «Quando la schisi è isolata, e interessa solo il palato, si parla di labiopalatoschisi. Quando colpisce il labbro è una cheiloschisi, se comprende sia il labbro che l’alveolo è una cheilognatoschisi. Infine, quando la schisi interessa anche il palato e si presenta in forma completa si definisce cheilognatopalatoschisi». Esistono, poi, forme rare di palatoschisi sotto mucosa. Essa è in apparenza sana, ma i muscoli risultano separati come in una schisi vera e propria: «Questi casi sono particolarmente importanti da trattare perché giungono alla nostra attenzione tardi: quando i bambini iniziano a parlare male».

Al giorno d’oggi la maggior parte delle diagnosi avvengono nel periodo prenatale. «Quando si scopre la presenza di una schisi – precisa Gatti – viene attivato il percorso idoneo per capire se ci possono essere alterazioni genetiche. Nella maggior parte dei casi si tratta di forma isolate».

L’incidenza geografica di questa patologia è varia e le cause non sono del tutto note. Alcuni sono fattori di rischio ambientali: consumo di alcool in gravidanza, fumo, carenza di acido folico e vitamine prenatali, diabete materno, e epilessia e uso di farmaci anti-convulsivanti, oppure l’età avanzata della madre.

Operazione per tornare a sorridere

Nelle donne vittime di violenza un intervento può far tornare alla normalità. Ne è l’esempio la delicata operazione effettuata dal dottor Giorgio Merlino, direttore del reparto di chirurgia plastica, chirurgia della mano e microchirurgia all’Ospedale Maria Vittoria di Torino.

«La lesione era particolarmente complessa – spiega Merlino – perché la signora era stata aggredita con del vetro e presentava tagli profondi sulla guancia». Queste ferite hanno interrotto il nervo facciale; responsabile dell’innervatura di tutta la muscolatura del volto. «È il nervo che ci permette di sorridere, aggrottare la fronte e stringere le palpebre» continua il chirurgo. 

L’aggressione ha compromesso la mobilità del volto della donna. «L’intervento è stato effettuato in regime d’urgenza – spiega Merlino – è stato anche discretamente lungo». L’operazione è stata eseguita al microscopio perché le strutture, su cui si necessitava intervenire, erano molto piccole e dovevano essere risuturate. L’esito dell’intervento non è mai immediato: «Occorre aspettare dai 6 agli 8 mesi, perché il nervo necessita di un tempo piuttosto lungo per rigenerarsi» spiega Merlino.

«È abbastanza comune che si verifichino questi eventi di violenza- precisa il chirurgo – e in questo caso il risultato dell’operazione è stato discretamente positivo».

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