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Mutilazioni genitali femminili: la risposta della chirurgia plastica
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1 anno agoon
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Redazione«Le mutilazioni genitali femminili sono un fenomeno sommerso».
Franco Bassetto, professore ordinario di chirurgia plastica, direttore dell’Unità Operativa Complessa di chirurgia plastica dell’Azienda Ospedale Università di Padova, e organizzatore insieme alla SICPRE (Società Italiana di Chirurgia Plastica Ricostruttiva Rigenerativa ed Estetica), del Summit sulle mutilazioni genitali femminili che si è svolto presso la medesima università, spiega come i dati che raccontano questo fenomeno siano solo stime e come la chirurgia plastica stia contribuendo a ricostruire la vita delle pazienti mutilate.
Mutilazioni genitali femminili: gli interventi

«Il format del Summit ha previsto un’introduzione con un filmato molto forte – spiega il professore – in cui si vede una bambina, accompagnata dalla madre e dalla nonna, che viene sottoposta a questa pratica molto cruenta eseguita nel Corno d’Africa». Si stima che in Italia ci siano circa 80-90 mila casi e nel mondo siano 250 milioni. «È un fenomeno di cui si conosce molto poco – precisa Bassetto – e tutte le stime sono approssimative». Si tratta di una pratica etnica che colpisce le bambine prima dell’età puberale: «la mutilazione genitale femminile viene eseguita per un credo etnico e non religioso – continua Bassetto – e ha la scopo di creare un senso di appartenenza alla comunità». Questa pratica prevede l’amputazione di più parti degli organi genitali femminili esterni e viene eseguita in ambienti domestici, creando una serie di problematiche.
«L’amputazione della parte sensitiva esterna del clitoride avviene con una lametta – spiega il professore – e ciò dà seguito a un sanguinamento importante e una cicatrizzazione non guidata». In questo modo il clitoride viene completamente ricoperto da una colata cicatriziale che toglie la sensibilità. «Ci sono diversi gradi di mutilazione; come l’amputazione delle piccole labbra o l’amputazione e la chiusura delle grandi labbra, pratica chiamata infibulazione» continua il professore. A seconda del grado di deformità che il chirurgo riscontra nella paziente ci sono differenti tipi di intervento: trattamento della cicatrice, correzione dell’amputazione attraverso plastiche oppure interventi rigenerativi. «Si inietta il tessuto adiposo che ha un alto contenuto di cellule staminali – spiega Bassetto – che ridà consistenza». Nei casi più gravi di infibulazione è possibile effettuare un intervento di de-infibulazione combinato con quello rigenerativo anche se non è mai una restituzione ad integrum.
Divulgazione e informazione come forma di prevenzione
La pratica delle mutilazioni genitali femminili avviene anche in bambine di seconda o terza generazione che vivono nei paesi in cui la famiglia è emigrata. «Per fortuna in questi paesi le ragazze non accettano più questa mutilazione in silenzio» commenta Bassetto. Infatti, molte di loro hanno dovuto rinunciare alla propria vita sessuale, alla procreazione e alla maternità. «Noi stiamo lavorando sia per far emergere dei dati, sia per creare dei riferimenti per risolvere questo problema» continua Bassetto.
«Dobbiamo lavorare dal punto di vista della divulgazione – commenta il professore – e non è sempre facile il confronto etnico perché non possiamo imporre i valori della nostra società, però possiamo mettere in discussione una pratica che è contro il benessere della donna».
Questo fenomeno, nato nel Corno d’Africa, si è poi diffuso globalmente con le migrazioni dei popoli. In questo modo, la pratica si è affermata in tutto il mondo, e le donne mutilate hanno chiesto ai chirurghi di correggerne gli esiti. «Noi abbiamo risposto e ci stiamo organizzando: ci sono centri di riferimento – conclude Bassetto – ma questi devono essere aiutati dal punto di vista politico nel creare delle vere e proprie unit, insieme al Sistema Sanitario Nazionale, composte da chirurghi plastici, urologi, ginecologici, sessuologi e mediatori culturali, in cui la paziente possa trovare una risposta competente».
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