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Come combattere gli stereotipi dannosi sulla comunità LGBT+

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«È vero che il genitore deve insegnare. Ma io da mia figlia ho imparato tanto. E mi ha portato a essere meglio di quello che ero prima. E questo, grazie a mia figlia»

Giovanni Roggero, presidente dell’associazione per genitori con figli transgender o omosessuali A.GE.D.O. Torino

Comprendere se stessi è difficile; farsi comprendere poi dagli altri lo è ancora di più. Le persone LGBTQIA+ si ritrovano spesso incomprese, vittime di una società che non le ascolta e non le integra, condannandole all’indifferenza se va bene, alle vessazioni se va male. Giovanni Roggero, presidente dell’associazione per genitori con figli transgender o omosessuali A.GE.D.O. Torino, parla di queste difficoltà, dei tentativi di migliorare le cose, e di come combattere gli stereotipi che circondano la comunità LGBTQIA+. A partire dalla manifestazione del Pride, che i detrattori spesso derubricano come una carnevalata, ma che in realtà è un luogo dove vivere allo scoperto e dove manifestano insieme figli e genitori chiedendo un mondo più inclusivo.

L’importanza di vivere alla luce del sole 

Giovanni Roggero, presidente dell’associazione per genitori con figli transgender o omosessuali A.GE.D.O. Torino

«Se io voglio uscire con mia moglie, tenendola per mano o magari dando neanche un bacio per strada non rischio niente» afferma provocatorio Roggero. «Ma una persona LGBT+ rischia di essere pestata. A me sembra che questa qui sia una cosa inaccettabile, proprio irricevibile» continua. La vita delle persone queer è spesso soggetta a violenze, aperte o velate, e questo le porta a nascondere la loro identità e vivere nella paura. E a ragione: il 64% delle persone LGBTQIA+ ha subito violenze mirate. Una percentuale altissima.

Ma una vita nell’ombra non è una vita dignitosa, soprattutto per persone che non hanno fatto alcuna scelta ma sono nate in una certa maniera diversa dagli standard sociali dell’egemone cultura occidentale. «C’è chi dice che essere omosessuali o transessuali sia una scelta, ma è l’ennesimo stereotipo: veramente possiamo pensare che una persona voglia scegliere di avere una vita difficile, di essere bullizzato, preso in giro, di non trovare lavoro?»

Roggero, comunque, sa che a volte chi alimenta certi stereotipi non è necessariamente in malafede: a volte è semplicemente qualcuno che non ha mai vissuto queste esperienze sulla propria pelle, o su quella dei propri figli. Ed è per questo che l’associazione A.GE.D.O. Torino si impegna per combattere questi stereotipi dannosi sulla comunità LGBTQIA+ e per essere un baluardo di supporto per chiunque ne senta bisogno. «Fare un’affermazione senza cognizione di causa può fargli davvero male, tanto che poi si sentono in dovere di vergognarsi, di nascondersi, di stare male».

Il percorso di transizione tra attese e burocrazia

Giovanni Roggero, oltre a essere presidente di A.GE.D.O. Torino, è anche padre di una ragazza transgender, uno dei motivi per cui ha preso a cuore i problemi delle persone LGBTQIA+. In particolare, il percorso di transizione è visto da alcune persone come un qualcosa di veloce, poco sicuro e addirittura dannoso. «Questa è una bufala, perché il percorso di transizione è un percorso che dura anni» corregge Roggero. Anni di attesa tra visite mediche invasive, burocrazia e, a volte, rifiuti.

Prima di cominciare il percorso c’è un periodo di “accettazione di presa in carico”, che può arrivare fino a un anno. «Dopo, i ragazzi vengono sottoposti al giudizio di psicologi, psichiatri, endocrinologi. E questo è un percorso per certi versi anche doloroso». Ma non è finita: c’è anche un passaggio burocratico attraverso il tribunale. Fino a poco tempo fa, un giudice doveva stabilire ufficialmente che la relazione dei medici fosse affidabile e dare il consenso alla transizione, e il cambio di nome ufficiale sarebbe arrivato solo dopo l’intervento chirurgico che di solito viene eseguito dopo una media di due anni di attesa. 

Ma anche se adesso il processo è più semplificato, e per il cambio di nome non è più necessario attendere la chirurgia, quello della transizione rimane un percorso lunghissimo. «Per certi versi è un periodo incredibilmente doloroso, che ti porta a passare anni preziosi della tua vita in attesa che qualcun altro decida che tu possa seguire questo percorso» continua Roggero, evidenziando quanto sia falso lo stereotipo sulla transizione. 

A.GE.D.O., educare e crescere insieme contro gli stereotipi

L’associazione A.GE.D.O. Torino, di cui Roggero è presidente, nasce principalmente come un luogo di ritrovo per genitori e parenti di persone LGBTQIA+ che si ritrovano destabilizzati dal coming out dei loro ragazzi o ragazze. «Quello che noi facciamo è accogliere queste famiglie in un ambiente protetto, questo ci dà la possibilità di trasmettere la nostra esperienza personale» spiega Roggero, affermando che un confronto tra persone che hanno passato la stessa esperienza aiuta le famiglie a uscire dalla loro “ignoranza” benevola, arrivando a comprendere le scelte di figli e figlie.

Per questo, oltre a essere un luogo sicuro di discussione e confronto, A.GE.D.O. organizza regolarmente incontri nelle scuole, nelle aziende e nei Comuni per sensibilizzare ai temi cari alla comunità LGBTQIA+, dall’identità di genere alla libertà di amare. «Alcuni movimenti ci contrastano ferocemente, dicendo che noi portiamo “l’ideologia gender”1 nelle scuole, una teoria stereotipata che non ha nessun fondamento, o che vogliamo fare semplice propaganda per le tematiche LGBT+. Ma nonostante questo andiamo avanti» continua, sottolineando l’importanza di continuare l’opera di sensibilizzazione nonostante queste difficoltà.

Purtroppo, l’egemonia culturale che ha demonizzato queste persone è ancora forte, tanto che alcuni genitori non riescono a rivedere i loro punti di vista e anzi rifiutano attivamente i coming out dei figli o delle figlie, non essendo capaci di riflettere con umiltà sui loro stereotipi. Ma, conclude Roggero, proprio l’umiltà è fondamentale nei genitori così come lo è nei giovani per creare una società davvero giusta e inclusiva. «È vero che il genitore deve insegnare. Ma io da mia figlia ho imparato tanto. E mi ha portato a essere meno peggio di quello che ero prima. E questo, grazie a mia figlia».

1Ndr. per “ideologia gender” o “teoria del gender” ci si riferisce a una versione volutamente falsata e sproporzionata degli studi sul genere, propugnata sin dagli anni ‘90 da movimenti conservatori cattolici di destra, per criticare il mondo LGBTQIA+.size="2">

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