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ActionAid e la lotta contro le mutilazioni genitali femminili
Le mutilazioni genitali femminili (MGF) rappresentano una violenza ancora troppo diffusa e spesso invisibile. Nel mondo, colpiscono 230 milioni (UNICEF 2025) di bambine e donne, compromettendo per sempre salute, diritti e libertà. Anche in Italia, il fenomeno esiste e chiama in causa responsabilità collettive. Da anni ActionAid lavora sul campo insieme alle comunità migranti, con progetti di prevenzione, formazione e ascolto, per costruire una risposta culturale, istituzionale capace di proteggere e trasformare.
L’impegno di ActionAid nella lotta alle MGF
«ActionAid Italia lavora sul tema delle mutilazioni genitali femminili dal 2016 grazie a finanziamenti europei. Abbiamo portato avanti tre progetti e dal primo aprile è partito il quarto, chiamato SAFE, sempre finanziato dalla Commissione Europea che durerà per due anni e mezzo», spiega Benedetta Balmaverde, project manager all’interno dell’unità di giustizia economica e di genere di ActionAid Italia.
Le MGF sono una priorità programmatica per la federazione globale di ActionAid, che opera in oltre settanta paesi. Il focus è sull’accesso ai diritti sessuali e riproduttivi e questa pratica rientra tra le violazioni più gravi di tali diritti.
Le sfide principali nel contrasto alle MGF

Operare in questo contesto non è semplice. «Milano è la città dove siamo più attivi nel lavoro con le comunità migranti, in particolare con quelle somala, senegalese, egiziana e nigeriana, per affrontare il tema delle MGF. Una delle difficoltà maggiori è far comprendere, in alcuni contesti, che le mutilazioni genitali femminili non sono una pratica religiosa prescritta, ma una forma di violenza radicata in aspetti culturali e tradizionali.» sottolinea Balmaverde.
Per sfatare questo mito, ActionAid opera con community trainer, figure chiave nella sensibilizzazione. «Alcune colleghe, community trainer di origine egiziana, hanno svolto un lavoro importante di ricerca e raccolta di informazioni sui versetti del Corane, sulle Sunna e su tutti i riferimenti religiosi che possano aiutare a decostruire la falsa convinzione che le mutilazioni genitali femminili siano una prescrizione dell’Islam. È spesso la prima obiezione che ci troviamo ad affrontare durante gli incontri di sensibilizzazione.»
La seconda difficoltà è invece legata alla volontà di molte comunità migranti di mantenere le proprie tradizioni culturali. «Noi collaboriamo con comunità di origine straniera, qui in Italia. Hanno una fortissima voglia di mantenere la propria identità culturale. Quindi dire loro di abbandonare quella che è una tradizione di centinaia e centinaia di anni per la loro comunità è come un po’ dire di abbandonare la propria identità culturale.»
Alla base delle MGF c’è spesso una visione patriarcale radicata, condivisa tanto nei Paesi d’origine delle comunità migranti quanto nella nostra società. Un’idea trasversale secondo cui, in qualche modo, la sofferenza femminile sarebbe naturale o necessaria. Lo dimostrano anche espressioni culturalmente interiorizzate come «partorirai con dolore». In questo contesto, non sorprende che siano spesso le stesse donne a perpetuare la pratica. È su questo terreno che ActionAid interviene, con progetti mirati a rafforzare l’autodeterminazione femminile, per permettere a ogni donna di acquisire consapevolezza e libertà nelle scelte che riguardano il proprio corpo.
Dare voce alle donne: il ruolo delle community trainer
Una delle strategie vincenti di ActionAid è il coinvolgimento diretto delle donne della comunità colpite. «Collaboriamo con community trainer dal 2016. La maggior parte sono donne, anche se nel gruppo è presente anche un uomo. Tutti provengono dalle comunità con cui lavoriamo e hanno scelto di mettersi in gioco in prima persona, diventando punti di riferimento affidabili e vicini alle persone.» spiega Balmaverde.
Queste figure organizzano incontri di sensibilizzazione, anche attraverso canali innovativi come le radio online in lingua madre. «Una nostra community trainer ha parlato del tema in una radio online in wolof, lingua della comunità senegalese. Poco dopo, è stata contattata da una donna che chiedeva aiuto per accedere a un servizio di ricostruzione genitale».
In realtà, il contatto tra le due donne era avvenuto qualche tempo prima. «Questa donna in realtà aveva già incontrato la nostra community trainer in altri contesti, ma non si era mai sentita pronta ad aprirsi sul tema. Ha capito, invece, che la nostra collega era formata e disponibile ad aiutare».
È stato grazie al lavoro di rete attivato da ActionAid, in collaborazione con il dottor Massimiliano Brambilla, chirurgo plastico specializzato in chirurgia plastica e rigenerativa e salute genitale femminile – che la donna ha potuto ricevere l’assistenza necessaria sul territorio di Milano.
Risultati e prospettive future
Il cambiamento culturale richiede tempo, ma ci sono segnali positivi. «C’è una diminuzione dell’incidenza della pratica qui in Italia, ma non in tutte le comunità. Ce ne sono alcune più a rischio, come quella nigeriana ed egiziana, in cui non si vede questa diminuzione. Al contrario, nella comunità somala, le bambine nate in Italia tendenzialmente non subiscono la pratica. Tuttavia, varia da comunità a comunità».
I numeri però sono sempre relativi: si parla infatti più di stime che di dati certi. «Sono pratiche nascoste e talvolta anche interiorizzate. Ma le cose stanno per cambiare».

Le ultime statistiche risalgono ad alcuni anni fa: «Al momento i dati disponibili parlano di 87.600 donne portatrici di MGF in Italia, ma sono fermi al 31 dicembre 2018,, quindi sono veramente datati e già parziali di per sé: sono stime, non è possibile raccogliere effettivamente il dato in tutte le comunità. Inoltre, è un fenomeno poco conosciuto dagli operatori e dalle operatrici che intercettano queste donne, ma è stata finalmente annunciata una nuova indagine a livello nazionale».
La speranza nel cambiamento
Le azioni concrete di ActionAid dimostrano che il cambiamento è possibile, anche se non immediato. «È sicuramente un ottimo inizio, da un lato perché a volte si portano avanti delle pratiche senza nemmeno metterle in discussione, senza pensare che possano essere problematiche. Iniziare a far emergere il tema aiuta a creare un “semino di dubbio” che può poi portare al cambiamento» conclude Balmaverde.
